Chi oggi ha tra i 20 e i 35 anni in teoria dovrebbe essere post-materialistia. Sulla lista dei desideri della “Generazione Y” quindi ci dovrebbero essere: l’home-office, il tempo libero, l’anno sabbatico. Ma non è proprio così che vanno le cose. Un commento.
di Johannes Pennekamp
Ogni generazione di giovani riceve in premio un’etichetta. I Sessantottini, la Generazione Golf (dal titolo di un libro popolare in Germania pubblicato nel 2000. N.d.T.), la Generazione Y. Le parole d’ordine fanno pensare che si possa caratterizzare e comprendere grandi masse di persone anonime. Tuttavia un’etichetta sommaria semplifica la realtà. Attraverso di essa si generano false immagini e strambe aspettative. E poche volte tutto ciò è stato tanto evidente come per la “Generazione Y”, ovvero il termine con cui gli imprenditori sussumono i propri successori. Pochissimo di quello che dovrebbe definire questa armata ha ragion di essere ritenuta vera.
Per capirci: chi oggi ha tra i 20 e i 35 anni, notoriamente sarebbe post-materialista. Significa che più importanti di un salario da capogiro e della promozione sarebbero un lavoro generatore che dia un senso e abbastanza tempo libero. L’offerta del giorno dice realizzazione personale, flessibilità e libertà individuale. Così dice la narrazione attuale che i ricercatori e i consulenti sussurrano ai manager del personale e al dibattito pubblico. La favorevole situazione del mercato del lavoro tende a favorire questa idea: poiché i babyboomer adesso pian piano si separano dal mercato del lavoro, i giovani possono presentarsi con sicurezza ai colloqui di lavoro. Sulla loro lista dei desideri sta scritto: home-office, fine-settimana liberi, anno sabbatico. Alle imprese non resta altra scelta che soddisfare questi desideri, alla fine almeno sarebbero riforniti di nuove energie. In questo modo la Gen Y scombussolerebbe il mondo del lavoro.
La maggioranza vorrebbe lavorare un po’ meno
Chi però mette sotto verifica queste descrizioni della realtà, incontra delle contraddizioni. Quando, poco tempo fa, Deutsche Bahn ha proposto a 130 mila lavoratori di scegliere se, dal prossimo anno, avere un aumento del 2, per cento del salario o sei giorni in più di ferie, la maggioranza risicata ha scelto i giorni liberi. Di sicuro c’è però che i giovani, per cui il salario non sarebbe più così importante, non hanno votato in massa per la vacanza. Non hanno votato diversamente dai loro colleghi più anziani.
Ugualmente in un sondaggio della IG Metall a cui hanno partecipato 680 mila dipendenti. La maggioranza vorrebbe lavorare un poco meno. La cosa deve sorprendere i partigiani della Generazione Y: il desiderio di lavorare meno non è affatto legato a “condizioni personali” come per esempio l’età del dipendente. Anche con il bisogno molto dichiarato di avere più spazio e realizzazione personale non si va lontani: la popolazione attiva, sotto i 40 anni, desidera chiaramente più raramente una “cultura della sperimentazione” nell’impresa che non gli anziani. Per esempio è meno importante poter scegliere luogo e tempo di lavoro, si dice in una ricerca della Università Tecnica di Monaco. Ci sembra tutto piuttosto normale.
Non significa che il mondo del lavoro non cambi. Anzi, la questione è proprio il contrario: le imprese devono oggi offrire ai propri dipendenti dozzine di modelli di lavoro part-time, un terzo dei ha infatti esperienza di home-office, le gerarchie si appiattiscono e i posti di lavoro cambiano più frequentemente. Motore di questi cambiamenti però non sono in primo luogo i giovani, ma soprattutto i progressi tecnologici e in egual modo i più anziani. Connessioni internet veloci e clouds rendono possibile il lavoro da casa con il portatile. Part-time, ferie non pagate e cambi di impiego più frequenti sono richiesti ai più anziani esattamente nella stessa maniera veemente come a quelli nati poco prima degli anni Duemila. Così la direttrice del personale dell’azienda del turismo TUI riporta come poco tempo fa avesse disponibili due posti molto esigenti. Trovò due candidati con esperienza, entrambi però scossero il capo quando propose loro un contratto a tempo indeterminato. I candidati avevano altri piani di vita: un progetto sociale in Africa, occuparsi dei genitori anziani e bisognosi di assistenza, viaggiare per il mondo. Il cambiamento dei valori non conosce chiaramente nessun limite d’età.
Per le aziende questa situazione porta con sé due buone notizie. Da un lato possono risparmiare il denaro per i costosi consulenti che vogliono consigliarle dicendo che sta arrivando una generazione con bisogni e aspirazioni completamente nuovi. Dall’altro lato non devono preoccuparsi che i giovani di oggi non siano abbastanza ambiziosi e orientati al successo per mandare avanti l’azienda. I giovani di fatto fanno uno sforzo enorme per il proprio successo professionale. Il livello d’istruzione non è mai stato così alto, un buon titolo di studio vale moltissimo, che tra le altre cose è da leggere come miglioramento delle scuole superiori private.
Allo stesso modo i giovani si danno da fare per avanzare: per esempio nessun altro gruppo selezionato per età prende in considerazione viaggi da pendolare per andare al lavoro così lunghi come i dipendenti giovani così tanto orientati al tempo libero.
La generazione Y lentamente invecchia. Chi ha meno di vent’anni già appartiene ad un altro gruppo d’età. Gli esperti già gli hanno dato un nome: Generazione Z. Attenzione: sarà completamente diversa dalla precedente.
Pubblicato su F.A.Z. il 18/07/2017
Traduzione: A.G.